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LA CENA DI BABETTE

 

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con

Paola Gassman

 

Armando Saielli

pianoforte
Giovanni Mareggini

flauto
Mario Stefano Pietrodarchi

fisarmonica

Amalgamare sapientemente la teologia e l’alta cucina, la seduzione della musica e una severa confraternita protestante norvegese, le bollicine dello Champagne e il destino di due signorine – che il loro padre volle chiamare Martina e Filippa, in onore rispettivamente dell’iniziatore della Riforma, Martin Lutero, e del suo teologo Filippo Melantone – un tempo bellissime e ora zitelle, un sussiegoso generale e una cuoca francese in esilio, ridotta a cucinare stoccafisso e una strana zuppa di birra e pane, non è semplice.

E se alla fine il generale diventa un teologo e un mistico, e la severa assemblea degli anziani confratelli si trasforma in una brigata di bambini che ruzzolano ridendo in mezzo alla neve di una notte incantata, è perché ci si è messa di mezzo l’arte. Quella della scrittrice danese Karen Blixen (1885-1962), prima di tutto: che pubblicò questo racconto nel 1950 (in inglese, col titolo Babette Feast’s) con lo pseudonimo di Isak Dinesen; e quella della sua creatura, Babette, l’oscura governante protagonista del racconto: questa donna già Communard, già pétroleuse (etichetta affibbiata alle donne accusate – ingiustamente, si seppe poi – di aver appiccato il fuoco alle case durante la repressione della Comune di Parigi nel 1871), e che si rivela una grande, grandissima artista: dei fornelli.

 

E che fa scoprire il potere trasformante, anzi trasfigurante, dell’arte, di ogni arte: di quell’arte – non importa se applicata ai cibi, alla musica, alle parole, ai colori... – che è segnata dalla grazia e ne diventa uno strumento e una manifestazione. A un patto, però: che l’artista dia tutto, che non tenga nulla per sé. È qui che la parabola dell’arte raccontata da Karen Blixen raggiunge la vibrazione  più “evangelica”: perché l’arte di Babette si fa figura del dono totale, della “perdita” di chi nulla trattiene e tutto dona; e accetta la povertà radicale, per rendere partecipi gli altri della grazia che tutto trasfigura.

 

In questa prospettiva si colloca anche il lavoro degli artisti che, come Paola Gassman, il pianista e compositore Armando Saielli, e i musicisti dell’Ensemble IDML di Reggio Emilia, rendono possibile il dipanarsi dell'intreccio tra narrazione e musica come altrettanta esperienza di dono.

L'arte ci aiuta anche a pensare, in una prospettiva complementare, che in ogni dono di sé si realizza il capolavoro della vita, di cui l’arte stessa è uno dei segni più promettenti. Che tutto questo avvenga attraverso cibi e bevande, di cui l’uomo ha bisogno ogni giorno, è assai significativo (nemmeno tre anni fa si svolgeva Expo 2015 "Nutrire il pianeta, Energia per la vita"). Il cibo, il nutrimento, può essere motivo di conflitti e tensioni, e causa di ingiustizie vergognose. Potremo trasformarlo in realtà di condivisione e grazie, come dice Babette, e anticipare così quel mondo trasfigurato e pacificato che, già secondo il profeta Isaia, si manifesta non a caso nel banchetto dei popoli sul monte del Signore.

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